sabato 18 Ottobre 2025

Policlinico di Palermo, test sul sangue e terapie monoclonali per vincere la sfida contro l’Alzheimer

Un semplice prelievo di sangue per la ricerca di biomarcatori necessari per una diagnosi biologica precoce dell’Alzheimer. Un esame innovativo, poco invasivo, disponibile soltanto in pochi centri superspecializzati, tra cui il Policlinico universitario di Palermo. Le ultime frontiere di ricerca per vincere la sfida contro l’Alzheimer sono state al centro del 4th Course Alzheimer’s disease in the era of precision medicine: from screening to therapy. Un convegno internazionale che si è tenuto a Erice, alla Fondazione Ettore Majorana, organizzato nell’ambito dell’International school of Precision Medicine and Laboratory Medicine, guidata dal professore Marcello Ciaccio, direttore del dipartimento di Medicina clinica di laboratorio, al Policlinico di Palermo.  La lectio magistralis inaugurale è stata tenuta dal professore Alessandro Padovani, presidente della Società italiana di neurologia. Un’occasione di riflessione e sensibilizzazione su una delle malattie neurodegenerative più diffuse e rilevanti a livello globale. Con un approccio multidisciplinare, per tutta la giornata, i maggiori esperti di livello nazionale – tra neurologi, geriatri, psichiatri e professionisti della medicina di laboratorio – si sono confrontati sulle ultime tecnologie sempre più sofisticate in grado di identificare i processi fisiopatologici, anche decenni prima che si manifestino i sintomi clinici. “La sfida contro l’Alzheimer è segnata da una vera e propria rivoluzione scientifica, guidata dalla Medicina di laboratorio, che sta cambiando il modo di affrontare la malattia – ha spiegato il professore Ciaccio -. Abbiamo scoperto che le alterazioni a livello biochimico e morfologico si manifestano 15-18 anni prima che si presenti il quadro clinico. Pertanto intercettare questi segnali biologici rappresenta un passaggio decisivo per poter intervenire tempestivamente”.Rispetto ad altre metodiche tradizionali, spesso più invasive e complesse, il test sul sangue è poco invasivo e riduce il disagio per i pazienti, consentendo di selezionare solo coloro che richiedono ulteriori approfondimenti diagnostici ed evitando indagini invasive a chi non ne ha realmente bisogno.Ma non solo diagnosi. Un’altra importante novità riguarda i farmaci: oggi esistono terapie che non guariscono dall’Alzheimer ma che, se dati precocemente, possono far sì che la malattia si presenti in forma più lieve e che abbia un’evoluzione molto più lenta. “Negli ultimi anni la ricerca sull’Alzheimer ha fatto passi avanti – ha sottolineato Ciaccio -. Per la prima volta due anticorpi monoclonali diretti contro la proteina beta-amiloide, lecanemab e donanemab, hanno ricevuto l’approvazione della Commissione Europea per il trattamento dei pazienti con malattia di Alzheimer in fase iniziale. Gli studi clinici hanno dimostrato che queste terapie possono rallentare la progressione del declino cognitivo di circa il 30% rispetto al placebo in pazienti accuratamente selezionati nei quali la presenza di amiloide cerebrale è confermata da biomarcatori specifici. Non si tratta di farmaci sintomatici, ma di trattamenti disease-modifying, che agiscono sui meccanismi biologici della malattia favorendo la rimozione delle placche amiloidi dal cervello”. “L’amiloide è un elemento ma non è l’elemento che causa l’Alzheimer – ha spiegato il professore Alessandro Padovani -. Ci sono altri fattori che determinano l’evoluzione della malattia. Oggi attraverso le nuove tecnologie siamo in grado di determinare un insieme di biomarcatori di origine cerebrale come se facessimo una biopsia liquida”.Durante il convegno, la professoressa Federica Agosta ha illustrato i risultati dei trattamenti con anticorpi monoclonali già in uso da oltre un anno all’ospedale san Raffaele di Milano, confermando il ruolo pionieristico dei centri italiani nella gestione clinica di queste nuove strategie terapeutiche. “L’approvazione europea di lecanemab e donanemab segna un punto di svolta storico – ha concluso Ciaccio -. Un traguardo della ricerca che, per la prima volta, offre ai pazienti e alle loro famiglie una concreta speranza di modificare il corso della malattia e di restituire tempo e autonomia a chi ne è colpito”.

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